Introduzione
Le Olimpiadi, da sempre simbolo di pace e unità tra le nazioni, attualmente si configurano come oggetto di diatriba politica, riflettendo delle tesi tipiche del sovranismo mainstream. In particolare, gli eventi recenti evidenziano come la competizione sportiva possa trasformarsi in un amplificatore degli stereotipi più tossici della narrazione politica.
In questo contesto, l’Italia sembra emergere come un esempio paradigmatico di come il nazionalismo esasperato possa deformare lo spirito olimpico. Le polemiche sugli arbitraggi, le accuse di complotti internazionali, le interpretazioni distorte delle cerimonie e le fake news sugli atleti sono solo alcuni dei sintomi di un fenomeno più ampio: la trasformazione delle Olimpiadi in un feticcio del sovranismo contemporaneo, dove la scorrettezza e la non accettazione dell’alterità culturale alimentano fastidio, odio e intolleranza.
Le Polemiche sugli Arbitraggi
Uno dei temi più ricorrenti durante le Olimpiadi è quello delle polemiche sugli arbitraggi. Gli atleti italiani non sono nuovi a contestare le decisioni arbitrali, spesso vedendole come ingiustizie o complotti contro il loro successo. In particolare, le controversie hanno coinvolto gli incontri di Filippo Macchi e Arianna Errigo. Questo atteggiamento non solo mina la credibilità degli atleti e del movimento in contraddizione con i valori olimpici, ma alimenta una narrazione vittimistica che trova terreno fertile nel clima politico attuale.
Il caso più emblematico è quello delle accuse rivolte al presidente francese Emmanuel Macron di orchestrare un complotto contro gli italiani. Questa teoria, priva di fondamento, non solo è irrazionale, ma rivela un profondo senso di insicurezza e una tendenza a cercare capri espiatori esterni per giustificare le esibizioni e specialmente le sconfitte.
La Vittoria “personale”: Il Caso di Elisa Di Francisca
Un altro esempio di come le Olimpiadi possano amplificare gli stereotipi tossici è l’interpretazione della vittoria. Elisa Di Francisca, ha criticato pubblicamente la nuotatrice Benedetta Pilato dopo che quest’ultima ha ottenuto il quarto posto nella finale dei 100 metri rana. Di Francisca ha espresso incredulità per la reazione positiva di Pilato, esternando delle perplessità sintetizzate dalla frase virale: “Non so se ci fa o ci è.”
Questa visione ristretta del successo riflette un atteggiamento culturale che misura il valore delle persone esclusivamente in termini di risultati tangibili e medaglie. Un approccio che non solo ignora i valori olimpici di partecipazione e concordia, ma contribuisce a perpetuare una cultura della pressione e dell’ansia da prestazione, che può avere gravi ripercussioni sulla salute mentale degli atleti.
Di Francisca, dal palcoscenico mediatico della TV pubblica, nega l’interpretazione personale della vittoria nei confronti di Benedetta Pilato, enunciando una tirannia della gloria che perpetua una stereotipo del merito che appartiene solo ai vincenti.
Benedetta Pilato esprime una relativizzazione del concetto di vittoria non necessariamente legato ai risultati standardizzati da inscrivere in un albo; essere vincenti in un contesto di Olimpiadi significa non tradire la propria perfomance, accettare il verdetto, essere soddisfatti del proprio risultato, riconoscere gli errori per prepararsi al meglio per la prossima competizione. Nel commento all’intervista di Benedetta Pilato traspare una dicotomia culturale sul valore della vittoria: fondata sui risultati tangibili da un alto, motivata dal percorso personale dell’atleta, dall’altro, consapevole di essere protagonista solo di una tappa di un viaggio personale.
La Cerimonia d’Apertura e l’Offesa “presunta” al Mondo Cattolico
Le polemiche non si sono limitate alle competizioni sportive. La cerimonia d’apertura delle Olimpiadi ha suscitato controversie per la reinterpretazione della cena degli dei, erroneamente scambiata da alcuni per una parodia dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.
Questa percezione è stata utilizzata da esponenti del sovranismo europeo per costruire una presunta offesa per una parte del mondo cattolico-cristiano, che ha visto in questa rappresentazione un attacco alla propria fede.
Tale episodio evidenzia come la religione possa essere strumentalizzata per creare divisioni e come la mancata comprensione o la distorsione delle intenzioni artistiche possa alimentare conflitti culturali.
In un’epoca di crescente secolarizzazione, la difesa identitaria religiosa diventa una leva potente per il sovranismo, che sfrutta tali incidenti per consolidare il proprio potere affermando la narrazione di un’invasione dell’alterità culturale in grado di minare le fondamenta della patria cristiana.
La Fake News sulla Pugile Algerina
Un altro episodio significativo riguarda la diffusione di una fake news sulla pugile algerina Imane Khelif, accusata di essere transgender. In realtà, l’atleta è una donna intersessuale, ma la notizia falsa ha scatenato un’ondata di polemiche e discriminazioni.
La Boxeur algerina ha avuto la “sfortuna” d’incontrare la pugile italiana Angela Carini. L’incontro di boxe si è trasformato in uno scontro di meta-narrazioni al limite del meme e del paradosso. Tale evento conferma la presenza di vivere al tempo della democrazia post fattuale, dove il dato oggettivo in sé non conta nulla in confronto alla costruzione di una serialità politica in grado di raccontare storie e micro-storie per produrre un consenso tale per rafforzare un’identità di nazionalismo radicale ben presente in questa fase storica.
Angela Carini diventa il feticcio da rappresentare per una tribù che vede il tramonto dell’occidente nel riconoscimento della diversità nella sua complessità. La costruzione del martirio diventa una prassi costante dove l’autenticità, in questo caso la performance sportiva viene contaminata, soppressa e manipolata dalle distorsioni di un “politicamente corretto” come ideologia dominante di un mondo dominato dalle “Sinistre”.
I fatti dicono tutt’altro: Imane Khelif è ambasciatrice dello sport per l’UNICEF e continua a essere una fonte di ispirazione per molte giovani ragazze in Algeria e nel mondo arabo.
Nel 2020, ha rappresentato l’Algeria alle Olimpiadi di Tokyo, dove si è classificata al quinto posto nella categoria dei pesi leggeri.
Nel 2022, Khelif ha vinto la medaglia d’argento ai Mondiali di Istanbul. Tuttavia, nel marzo 2023, è stata squalificata dai Mondiali a causa di un livello elevato di testosterone, una decisione che ha suscitato molte polemiche. Tuttavia, Il Comitato Olimpico Internazionale ha confermato che rispetta tutti i regolamenti necessari per partecipare alle competizioni femminili.
Questo caso mette in luce il ruolo pernicioso delle fake news nello sport e nella società in generale. La rapidità con cui le informazioni false si diffondono e la difficoltà nel correggerle alimentano pregiudizi e intolleranze. La questione di Imane Khelif riflette una più ampia tendenza a criminalizzare e discriminare le diversità, trasformando l’alterità in un bersaglio di odio e sospetto per speculazione politica.
Le Olimpiadi come feticcio del Sovranismo Contemporaneo
Per comprendere come si sia giunti a questa rappresentazione mediatica delle Olimpiadi, è necessario esaminare il contesto socio-politico più ampio. Il sovranismo contemporaneo si nutre di simboli e miti che rafforzano l’identità nazionale a scapito dell’alterità. Le Olimpiadi, con la loro visibilità globale e il loro potere simbolico, diventano un terreno fertile per queste dinamiche. La competizione tra nazioni viene percepita non solo come una sfida sportiva, ma come una battaglia identitaria. La vittoria diventa una conferma della superiorità nazionale, mentre la sconfitta è vista come un’umiliazione da attribuire a complotti esterni o ingiustizie.
Questo approccio sovranista alle Olimpiadi si manifesta attraverso vari meccanismi:
- Vittimizzazione nazionale: le sconfitte sono spesso giustificate attraverso accuse di complotti o ingiustizie, alimentando un senso di vittimismo nazionale. Questo atteggiamento rafforza la coesione interna, ma aumenta le tensioni con gli altri paesi.
- Intolleranza culturale: l’alterità culturale viene percepita come una minaccia. Le differenze, invece di essere celebrate, diventano motivo di discriminazione e odio. La cerimonia d’apertura delle Olimpiadi è un esempio di come le interpretazioni culturali possano essere distorte per alimentare conflitti.
- Fake News e disinformazione: la diffusione di notizie false contribuisce a creare una realtà parallela in cui le storie sovraniste trovano giustificazione. La fake news su Imane Khelif è un esempio di come la disinformazione possa essere utilizzata per discriminazione e odio mediatico
- Pressione sui risultati: l’ossessione per le medaglie e i risultati tangibili riflette una cultura della performance che ignora i valori più profondi dello sport. Questo approccio non solo danneggia la salute mentale degli atleti, ma perpetua una visione ristretta del successo.
Le dinamiche descritte sollevano questioni sul ruolo delle Olimpiadi nella realtà mediatica riguardo alla natura dello sport, dell’identità e della convivenza umana. Lo sport, nella sua essenza, dovrebbe essere un mezzo per superare le barriere e promuovere l’unità. Tuttavia, quando viene strumentalizzato per fini politici e identitari, perde la sua funzione originale e diventa un mezzo di divisione.
Il concetto di identità, al centro del sovranismo, è anch’esso problematico. L’identità nazionale viene spesso costruita in opposizione all’alterità, creando un’illusione di coesione interna che si basa sull’esclusione. Questo approccio è intrinsecamente fragile, poiché si nutre di conflitti e tensioni. La vera identità dovrebbe essere inclusiva e dinamica, capace di accogliere le differenze senza timore.
Conclusione
Le Olimpiadi, raccontate tramite lo sguardo del sovranismo italiano diventa un campo di battaglia per speculazioni politiche. Le polemiche sugli arbitraggi, le accuse di complotti, le interpretazioni distorte delle cerimonie e le fake news sugli atleti riflettono un clima di intolleranza e divisione che mina lo spirito olimpico. Difficilmente supereremo questa fase, la dottrina del sovranismo come nazionalismo decadente nella sua fase postmoderna, è un sistema culturale che presenta punti di raccordo tali da creare un’immaginario in grado di presentare situazioni ed esperienze dove esclusione e non riconoscimento diventano leve fondamentali per l costruzione di nuove rapporti sociali e tensione politiche. Fino a che punto?